Colore, luce e benessere: dalla percezione alla cura

Numerosi studi contemporanei dimostrano come la qualità dell’ambiente costruito influisca profondamente sul benessere psico-fisico delle persone. In particolare, luce e colore non solo modulano la percezione degli spazi, ma agiscono direttamente sul sistema neuroendocrino e immunitario, contribuendo a ridurre lo stress, migliorare l’umore e favorire i processi di guarigione.
Un ambiente cromaticamente equilibrato può dunque produrre effetti positivi – o, se mal progettato, negativi – sul piano fisiologico, psicologico ed emotivo. Questo perché la relazione tra corpo e mente si esprime attraverso dimensioni interconnesse: fisica, cognitiva ed emotiva. Umanizzare lo spazio significa allora costruire un “clima visivo” consapevole, in cui colore e luce non siano percepiti come semplici orpelli estetici, ma come strumenti attivi di cura, relazione e comunicazione. Nei luoghi dedicati alla salute – ospedali, ambulatori, case di riposo – luce e colore ridefiniscono il concetto stesso di igiene, non più confinato alla pulizia materiale, ma esteso alla qualità percettiva, sensoriale e simbolica dello spazio. Tuttavia, in molte strutture italiane, il colore è ancora trattato come elemento meramente decorativo, mentre l’illuminazione è relegata a una funzione puramente tecnica, priva di una visione progettuale integrata. Questo approccio riduttivo trascura aspetti fondamentali, come il ciclo circadiano della luce naturale o la trasformazione percettiva degli ambienti nel corso della giornata e delle stagioni. Ne derivano spazi freddi e impersonali, spesso dominati da un uso eccessivo del bianco – erroneamente associato all’idea di igiene – che genera ambienti asettici e psicologicamente distanti. Al contempo, si assiste a un uso disordinato del colore, dettato da scelte arbitrarie o dalla moda, prive di fondamento scientifico o culturale. Un esempio emblematico è l’abuso del verde, considerato “rilassante” per la sua associazione con la natura, ma potenzialmente controproducente nei contesti sanitari: alcune tonalità, infatti, possono interferire con la percezione dell’incarnato, alterando il giudizio visivo sullo stato di salute del paziente e rendendo più difficile l’interazione clinica.
Un altro nodo critico riguarda l’efficienza energetica. In strutture sanitarie dove si svolgono attività complesse e continuative, garantire una visibilità costante è fondamentale. Una progettazione illuminotecnica intelligente consente di ottimizzare l’uso della luce artificiale, migliorando la qualità percettiva degli ambienti e riducendo al contempo i consumi energetici.
Un progetto cromatico efficace, coerente con i principi dell’ergonomia del colore, non si limita a soddisfare esigenze funzionali o formali, ma persegue l’integrazione armonica tra la persona e l’ambiente. Il clima cromatico diventa così lo scenario visivo condiviso da chi cura e da chi viene curato: deve sostenere il lavoro degli operatori sanitari e, al contempo, accogliere i pazienti in un’atmosfera rassicurante, stimolante, non alienante.
Riferimenti e casi studio
Tra i contributi più significativi in questo ambito vi sono gli studi pionieristici del dott. Heinrich Frieling, psicologo, biologo e fondatore dell’Institute of Color Psychology in Germania, nonché primo presidente della IACC (International Association of Color Consultants/Designers). Già negli anni Settanta, Frieling aveva evidenziato come il colore potesse influire su parametri fisiologici quali la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e il livello di ansia. Il suo successore, il prof. Frank H. Mahnke, autore del volume Color, Environment, and Human Response e secondo presidente della IACC, ha elaborato un modello scientifico di progettazione cromatica per ambienti sanitari, introducendo il concetto di healing environment (ambiente di guarigione). Mahnke ha collaborato a numerosi progetti ospedalieri in Canada, Stati Uniti, Giappone e Scandinavia, dimostrando come una progettazione consapevole di luce e colore possa ridurre i tempi di degenza, migliorare l’umore dei pazienti e aumentare la soddisfazione del personale.
Un altro esempio fondamentale è lo studio clinico condotto da Roger Ulrich presso la Chalmers University of Technology in Svezia, che ha dimostrato come i pazienti ricoverati in stanze con vista su paesaggi naturali guarissero più rapidamente e necessitassero di minori dosi di analgesici rispetto a quelli con vista su pareti neutre. Questo ha ispirato un orientamento progettuale che privilegia l’uso di colori naturali, dinamici, capaci di evocare ambienti esterni e cicli vitali.
Nonostante alcune esperienze positive, nel panorama italiano manca ancora un protocollo condiviso sull’uso del colore in ambito sanitario. La formazione in questo settore è sporadica e spesso affidata alla sensibilità personale dei progettisti o a iniziative isolate.
Per superare l’approccio autoreferenziale ancora troppo diffuso, è urgente promuovere una cultura del colore applicato fondata su evidenze scientifiche, multidisciplinarietà e responsabilità progettuale. Solo integrando conoscenze di psicologia ambientale, fisiologia, estetica e sostenibilità potremo restituire al colore e alla luce il ruolo che meritano: non meri strumenti decorativi, ma veri e propri agenti di cura e benessere.
Massimo Caiazzo